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"Noi che ci vogliamo così bene" - Quattro carte esempio di sorellanza

23.10.2020

Una delle letture che mi hanno accompagnato nel corso dell'estate è stata "Noi che ci vogliamo così bene" di Marcela Serrano. La storia vede protagonista l'amicizia tra quattro donne molto diverse tra loro, quattro proprio come i simboli delle carte napoletane. La carta di coppe che rappresenta l'allegria e l'amore passionale rappresenta a pieno l'indole di Maria, una delle nostre donne. La spada è il simbolo di forza, coraggio, dell'autorità, oppressione da cui ne deriva tristezza e dolore. La carta di spade rappresenta soprattutto giustizia. Personalmente la collegherei alla figura di Isabel, vittima della schiavitù tra figli e marito. I bastoni, simbolo di forza, creatività e passione come Sara, la più ribelle che esclude di vivere con un uomo. E gli ori, simbolo di conoscenza e determinazione nel concretizzare i progetti, mi ricordano Ana, la nostra narratrice, una donna dai mille interessi ma mancante di una caratterizzazione propria.

Ana si racconta e ci racconta la storia di queste quattro donne, mentre sono insieme in vacanza, lontane da tutte le loro preoccupazioni. Questa è la storia anche di un Cile politicamente inquieto, tra dittatura e rivolte, fino alla transizione dei tempi moderni. Ci ritroviamo fra la loro rabbia e l'ironia di Maria, amori difficili e comportamenti clichè, decisioni sospese per mancanza di coraggio, citazioni di Rossella O'Hara accompagnate da riflessioni sul femminismo.

Maria, definita dalla nonna "bella ma tonta", crede che le mestruazioni siano la croce della vita delle donne, come se con dolore e sangue pagassero, mese dopo mese, anno dopo anno, l'essere padrone del privilegio di riprodurre. Solitamente è giusto pagare per i propri peccati, non per i doni. Racconta che nel suo paese, i contadini erano convinti che se una donna mestruata attraversava un campo di cocomeri, questo si seccava. Addirittura ci costruivano per proteggerli come se fosse una maledizione. Un castigo, questo è per lei l'esser capaci di partorire. Aggiunge che nelle zone montagnose della Cina, i genitori si disfano delle figlie femmine per poter partorire di nuovo ed avere un figlio maschio. Qui in Italia oggi siamo più tutelate rispetto ad altri Paesi ma immaginate che i nostri stessi genitori ci avrebbero potuto ammazzare per il solo fatto di essere donne.

Donna, l'essere umano con più sensi di colpa.

"È STATA COLPA MIA. [...] Se mi è successo quello che è successo, è stato perché io l'ho permesso."

Quante volte ci siamo ritrovate a pensarla come Sara?

Ci sono cose che non possiamo scegliere: chi nascere, dove nascere ed in che famiglia. Non possiamo scegliere di nascere uomo o donna né se in una famiglia povera o ricca. Quanto sarebbe bello cambiare pelle, come fanno i rettili. Anch'io come Maria ed Isabel a volte vorrei cambiare pelle. È difficile essere femmina, ancor di più essere femminista. Che è diverso. Essere femminista intersezionale significa essere contro ogni discriminazione (razziale, sessista, di genere). Anche un uomo può essere femminista. Il femminismo non mira a cancellare la mascolinità, così come non ha mai negato la femminilità, ma vuole favorire altre possibilità di esistenza rispetto a quelle degli stereotipi. Come dice Kelley Temple, "Gli uomini che vogliono essere femministi non hanno bisogno di ricevere spazio nel femminismo. Devono prendere lo spazio che hanno nella società e renderlo femminista". Il femminismo rompe gli obblighi da sempre legati al "maschio" come alle "femmine". Allora perché nel nome di questo movimento c'è solo del femminile? Solo e semplicemente perché le donne sono i soggetti che l'hanno iniziato e portato avanti con forza e determinazione.

Ancora oggi molti uomini vedono le donne femministe come un nemico. Giustificano e capiscono le donne femministe se queste risultano brutte o se odiano gli uomini, se sono zitelle o se hanno problemi economici perché non hanno un uomo che la mantenga, se hanno quella "rabbia biografica" di cui parla Maria. Solo queste possibilità portano molti uomini a tollerare le donne femministe.

"Non ho bisogno di essere femminista per capire quanto è retrogrado un uomo che deve distruggere il fascino di una donna per poter credere a ciò che dice."

Non serve altro per capire perché mi sia affezionata particolarmente alla figura di Maria.

Le quattro amiche insieme ad altre si interrogano sul proprio futuro in quanto donne in uno dei più bei dialoghi del libro. Sara suggerisce di "non costruire la propria sicurezza sul piano sessuale, né sul piano estetico. Ossia, in nulla che termini con il passare dell'età." In una società in cui si limita il potere della donna alla capacità di seduzione e di fecondare, il suo valore sparirebbe con le rughe e la menopausa. Sara dà un consiglio apparentemente banale ma sostiene sia buono iniziare a coltivare il più prima possibile piaceri che si mantengano nel tempo ed esercitare continuamente l'intelligenza perché non invecchi. Sicuramente servirà avere un'indipendenza e sicurezza economica.

Qualche pagina più avanti mi sono soffermata su questo punto:

"Si può immaginare la vita delle donne come un gioco tra il pieno ed il vuoto."

Di questo gioco, mai nessuno è riuscito a trovarne la soluzione.

"Subito ti domandi: è questo ciò che devo essere? E il corpo ti pare la forma con cui modellare le risposte. Pieno: la gravidanza. Come se fosse soltanto a partire dalla maternità che la donna acquisisce miracolosamente il significato del suo essere. Funziona per un po', sopprime l'angoscia. La donna è piena, fino a scoppiare. Dorme la sua gravidanza. La nascita del figlio la sveglia, a volte brutalmente. Il figlio è ormai nel mondo, lei non ce l'ha più, il suo equilibrio è in pericolo. Nel corpo restano buchi da riempire, e lì si annida la depressione. È di nuovo sola con il suo vuoto. E si riapre la domanda: cosa significa essere donna? Soltanto attraverso il vuoto si è donna e si riesce a immaginare come ci si riempie, nella ricerca eterna della risposta."

Ed è proprio nei momenti di depressione di Maria che avrei voluto strappare le pagine per andare a consolarla. Si limita a rileggere questa poesia di Konstantinos Kavafis:

Corpo, rammenta, e non soltanto come

amato fosti, i letti ove giacesti.

Ma quelle brame che riscintillavano

chiare, per te, negli occhi,

nella voce tremavano - e furono

vane per sorte.

Ora che tutto affonda nel passato,

pare che a quelle brame tu ti sia

abbandonato... come scintillavano

negli occhi fissi su di te, rammenta,

e nella voce tremavano per te, rammenta, corpo.

Non lo definirei un libro femminista ma sicuramente di sorellanza, come d'altra parte si evince dal titolo. Un libro che ricorda a noi donne che non siamo sole. Dopo dieci anni di amicizia Ana, Maria, Sara ed Isabel erano lì, più grandi, più vecchie, più ferite, più sagge ed ancora insieme. 

"Hacía calor pero tenía frío

Hacía calor pero tenía frío

Quante volte avrei voluto cambiare la pelle oh

Quante volte avrei voluto cambiare la pelle"

da "Puta" di Joan Thiele

 

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